#5 che a ne liga e a ne porta 'nte 'na crêuza de mä
di stradine, marinai e piccoli rimorchiatori. Tutto miscelato.
Durante la settimana passata la mia pagina “Per te” di TikTok è stata invasa dai colori pastello delle case di Boccadasse e di Camogli, dal mare luccicante di casa mia e da un’infinità di stradine, crêuze, appunto. Strette, con i ciottoli grigi ai lati e i mattoni rossi al centro, i muri alti rotti da qualche pianta e sormontati da cocci di bottiglia o dal giallo dei limoni, una discesa ripida fino al mare oppure un’ombra che apre a un’altra stradina, le crêuze sono parte del paesaggio quotidiano di tutti i liguri.
Si prendono per fare prima, perché permettono di “tagliare” il percorso, e - almeno nella mia famiglia, costituiscono una sorta di stradario alternativo dei quartieri dove ho abitato: esiste così la crêuza “della signora dei gatti” e quella “dalle rocche”, come la stradina “della nonna Tina”. Ma i nomi, come capita spesso quando sono frutto di un lessico familiare, possono cambiare: da settembre, per esempio, abbiamo guadagnato “La crêuza del lupo”, ribattezzata così a causa di un avvistamento vicino a casa di mia mamma. A casa mia, poi, si dice “crosa” e non “croeusa”. Una parola corta, la pronuncia italianizzata di quel crues provenzale da cui deriva e che si sente tutto nella versione di “Crêuza de mä” cantata da Cristiano De André e Bresh a Sanremo.
Nei video che ho visto negli scorsi giorni è la parte finale della canzone, quella in cui De André canta:
E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä.
a fare da sfondo a video in cui Genova viene celebrata per i suoi paesaggi, focaccia&trofie al pesto e per la solita “vita lenta” che negli ultimi anni ha precipitato una certa quantità di melassa sulle città che si affacciano sul Mediterraneo.
Il testo della canzone, in realtà, ci racconta delle fatiche dei pescatori e non delle gioie dei turisti estivi. Questi uomini che dopo essere stati una notte al largo vedono finalmente il mattino rosa, quindi “fratello di garofani e di fanciulle”, e si fanno tirare “da una corda marcia di acqua e di sale” verso riva, verso le case. È una specie di cordone ombelicale (e forse non è un caso che crues di cui scrivevo prima significhi proprio “cavo”) quello che li tiene stretti alla terraferma, e che difatti “ci lega e ci porta in una stradina che va verso il mare”. Che va verso il mare o che, al contrario, dal mare allontana, e riporta alle case di pietra cantate nelle strofe precedenti, ai cibi buoni della strofa che nella versione di Sanremo è saltata.
Non tutte le crêuze portano direttamente al mare, anche se su quella di cui parla De André non ci sono dubbi, al punto che qualcuno dice che la “crêuza de mä” in realtà descrive un fenomeno meteorologico per cui il mare calmo, agitato solo superficialmente da refoli di vento, sembra percorso da “strade del mare” luminose.
E ho pensato, mentre facevo la solita strada che da casa porta a scuola: perché non portarvi con me giù per la crêuza che si snoda dietro casa mia e poi prenderne un’altra e un’altra ancora, fino ad arrivare al mare?
Nelle crêuze, difatti, si trovano cose interessanti, di solito tutte quelle che succedono a pochi centimetri da terra, nei buchi dell’asfalto o nelle crepe dei muri. È (anche) nelle crêuze che crescono alcune piante che compongono il prebuggiun, una miscellanea di spontanee che vengono usate nella cucina ligure: ci si fa il ripieno dei pansoti, ad esempio, ma anche le torte d’erbi (non derby, non d’erbe, proprio d’erbi).
Questa settimana è stata piovosa ma la prossima, se farà bello, andremo insieme.
#UnAlboAllaSettimana
L’anno scorso, di questi tempi e su Thread, provavo a consigliare #unalboalgiorno tra quelli che di solito porto in classe. Inutile dire che quei ritmi non fanno per me, perché non sono durata neanche due mesi, ma credo che uno alla settimana sia più che sostenibile. Quindi, ecco il quinto:
La ballata del piccolo rimorchiatore di Iosif Brodskij, Adelphi


Anteo, come il mitologico gigante figlio di Poseidone, è il protagonista di questa ballata. Un piccolo rimorchiatore che vive tra i marinai, il fumo e le grandi navi del porto di Pietroburgo. Lui le accompagna quando partono e quando arrivano, sognando approdi lontani e paesi esotici.
In quello che sembra un lavoro monotono Anteo trova una certa poesia e coglie il senso della sua vita:
Qualcuno deve pur restare / accanto a questa terra. / […] E se pure mi addolora / non fare il marinaio, / e vorrei tanto vedere / meravigliosi mari /[…] devo restare / lì / dove di me hanno bisogno.
gli fa dire il poeta Iosif Brodskij. Così Anteo continua, giorno dopo giorno, a guidare le navi dentro e fuori dal porto. Lo seguiamo nel suo lavoro e nelle sue riflessioni attraverso le splendide illustrazioni di Igor’ Olejnikov fino a quando anche Anteo non salpa per il suo primo e ultimo viaggio, quello verso
il paese d’oro/ da dove ancora,/ vuole la leggenda, /nessun rimorchiatore /è mai tornato.
È domenica 23 febbraio 2025 e mancano meno di 30 giorni alla primavera.
Visto che si parlava di mare, ho letto "Una boa al giorno" - e devo dire, che è qualcosa che vorrei!