#6 ci si mostrano i gialli dei limoni/ e il gelo del cuore si sfa
di ricordi, passeggiate tra erbe selvatiche e semi viaggiatori. Tutto miscelato.
La scorsa newsletter conteneva una promessa: se avesse smesso di piovere vi avrei portati con me giù per la crêuza che si snoda dietro casa mia.
Inizialmente l’idea era quella di scendere e scendere, stradina dopo stradina, per arrivare fino al mare che di solito si vede luccicare in lontananza, ma mentre camminavo, osservavo, raccoglievo fotografie e impressioni mi rendevo conto che la quantità di informazioni sugli abitanti e le abitanti di queste stradine - impegnati a crescere scomodamente tra un ciottolo e una mattonella, all’ombra, non sarebbe potuto entrare in una sola newsletter.
Quindi cammineremo insieme per un po’, poi le nostre strade si separeranno.
Per ora eccoci qui, fuori casa e pronti a imboccare una stradina che non porta subito al mare, quindi non non una crêuza de mä in senso stretto.
Ed ecco la prima domanda: non sono tutte le crêuze di Genova, e in una città come Genova che sale subito ripida dalla costa, crêuze che portano al mare?
Seconda domanda: come ci è arrivato qui un ciclamino?
Arroccato in una crepa del muro, e vicino a un piccolo canale di scolo, lo avevo notato qualche settimana fa chiedendomi proprio come fosse riuscito a infilarsi lì.
Non ho mai avuto grande simpatia per i ciclamini: un po’ perché mia madre a casa sua ne ha sempre avuti tantissimi e, si sa, nel giardinaggio come nella vita è importante prendere le distanze dai propri genitori, un po’ perché mi sembra proprio il tipo di pianta che si regala quando non si sa bene che pesci pigliare. Una bella orchidea, un bel ciclamino (che se non altro è meno delicato delle orchidee e tende meno a fare una brutta fine) e, negli anni ’80 e ’90, la specialità di mia nonna, l’addobbo da balcone cittadino per eccellenza: un bel vaso di gerani.
Comunque questo è lì, ci passo davanti tutte le mattine e ormai ho preso l’abitudine di controllare se sia sempre al suo posto. Naturalmente è in perfetta salute essendosi radicato in una crepa da cui è difficile strapparlo, in mezz’ombra e dove viene bagnato - ma non troppo, dall’acqua che passa nel canale di scolo.
Superato il ciclamino si sale un po’ per raggiungere l’imbocco della crêuza.
È una giornata di sole, ma solo i primi metri della stradina sono inondati di luce: tutto quello che succede e tutto quello che cresce, da un certo punto in poi, è in ombra.
Come tutte le crêuze è grigia, rossa e verde. Grigi sono i muretti laterali, verdi le piante della strada e quelle dei giardini privati che si protraggono fuori dalle recinzioni, rosse le mattonelle disposte in file. Sempre grigi sono i ciottoli disposti in due file, di cui una completamente coperta dall’erba, ai lati delle mattonelle: sfere levigate su cui la gente va a camminare quando piove, che il centro diventa scivoloso.
Spesso queste piante sono percepite come un elemento di disordine. Ricordo, qualche mese dopo l’elezione di Marco Bucci a sindaco di Genova, che un mio parente noto per “non essere proprio il più svelto della cucciolata” secondo le sempre sagge parole di mio fratello, disse che una cosa buona la destra al governo della città la stava facendo: LE CRÊUZE ERANO IN ORDINE, addirittura IN ORDINE COME NON ERANO MAI STATE.
Ok.
Ma ritorniamo alla creûza. Subito sulla destra ho avvistato alcuni fiori gialli che si godevano il primo tratto di sole sulla strada. Si tratta di Grespino comune (Sonchus olareceus L.), una pianta selvatica che probabilmente nel corso dei secoli è transitata dalle montagne del continente africano per arrivare nell’area mediterranea. Da lì, e sulle navi che si lasciavano alle spalle il nostro mare, il Grespino si è diffuso in tutto il mondo. In Liguria la pianta è nota con il nome di scixerbua ed è uno degli ingredienti più apprezzati del prebuggiún, una miscellanea di spontanee che vengono usate nella cucina ligure.
Può essere confuso con il tarassaco (Taraxacum officinale L.), che però ha un solo fiore per gambo, e somiglia vagamente anche ai cardi, difatti in inglese si chiama sow thistle, il cardo delle scrofe, che ne vanno ghiotte.
Scendendo ancora ho notato una pianta che cresceva dritta in mezzo a una crepa - senza dubbio più ordinata dello scompigliato ciclamino, per chi va per crêuze in cerca di ordine e vota a destra per lo stesso motivo. Il nome di questa succulenta deriva dalla forma delle foglie nel punto in cui si innesta il picciolo: Ombelico di Venere (Cotyledon rupestris Salisb.) o erba scodellina, perché in effetti la foglia somiglia proprio a una pancia con un ombelico o a una piccola scodella.
Originaria del Mediterraneo, fa dei piccolissimi fiori verdi e rosati. Quando eravamo piccoli e passavamo buona parte dell’estate in un bellissimo rudere di campagna in provincia di Massa, una casa circondata da boschi e ruscelli, io e mio fratello avevamo capito che - se passato sopra ai graffi dei rovi o alle punture di zanzara, il gambo della pianta dava sollievo.
Mi sono guardata indietro. Alzando la testa ho visto, abbandonato su una ringhiera, un albero di limoni (Citrus x limon L.) e sono di nuovo in quinta elementare, in piedi davanti alla cattedra e recito, sforzandomi di non ridere:
Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
Le trombe d’oro della solarità.
La maestra Angela si raccomandava di “recitare con sentimento”, e forse intendeva in modo un po’ solenne, ma come si fa a restare seri quando si dice in modo così esplicito che a un certo punto l’inverno finisce e che ad annunciarne la trasformazione in primavera sono le trombe d’oro della solarità, i limoni?



Lasciandomi alle spalle i limoni, e restando sui ciottoli, sono quasi inciampata in un ammasso di grosse foglie tenute su da gambi spessi, di colore violaceo: la Bardana selvatica (Arctium nemorosusLej.). Il nome generico deriva dal greco arktos, che significa orso, perché in effetti produce dei fiori dall’aspetto piuttosto irsuto. L'idea del velcro, composto da una striscia di tessuto peloso e da un’altra di tessuto disseminato di minuscoli ganci, fu ispirata all'ingegnere svizzero Georges de Mestral proprio dai capolini della Bardana selvatica che gli erano rimasti attaccati alla giacca dopo una passeggiata in campagna.
Prima che la crêuza si apra sulla strada, e prima che questa nostra passeggiata insieme finisca, ho guardato di nuovo su, verso il muro. Una cascata di foglie, piccole bacche nero-bluastre: una pianta di edera (Hedera helix L.). I frutti sono velenosi per l’uomo, e anticamente erano associati a Dioniso per la capacità di provocare uno stato di delirio intenso, ma commestibili per gli uccelli. Fiorendo in tardo autunno l’edera è di fatto una delle ultime piante a fornire nutrimento agli impollinatori prima dell’inverno, aiutandoli così a superare la stagione fredda.


Poco oltre l’edera la crêuza si riapre, illuminata dal sole, per poi congiungersi con la strada asfaltata. Una volta attraversata, finirò in un’altra crêuza, e poi in un’altra ancora, fino al mare.
Miscele (cose da leggere, da fare o da ascoltare)
Qualche anno fa è uscito per Tuss Edizioni Piante di strada. Erbario di Genova tra muri, crêuze e marciapiedi di Mario e Mariasole Calbi (che forse vi ricorderete per questo piccolo podcast che ho citato nella prima newsletter). Piante di strada è perfetto per essere messo nella tasca della giacca e portato in giro in un’esplorazione per marciapiedi, parchi, giardini e naturalmente crêuze.
Sempre a proposito di piante spontanee: in questo periodo sto leggendo Elogio delle vagabonde di Gilles Clément, teorizzatore dei concetti di giardino planetario, giardino in movimento e terzo paesaggio. È curioso, perché questa lettura si innesta su un’altra, Una seconda natura di Michael Pollan, che ho finito la settimana scorsa: direi che questi sono due libri che si parlano.
Clément svolge una riflessione poetica e filosofica sulle piante che crescono spontaneamente, al margine, in luoghi non coltivati o trascurati. La sua idea è che le cosiddette “erbacce” possano essere viste come una metafora per la libertà e la resistenza, in contrasto con l'idea di un paesaggio controllato e rigidamente progettato. Pollan, invece, ci racconta della sua esperienza di giardiniere - anche qui, senza lesinare sulle riflessioni filosofiche e confrontandosi, in particolare, con Thoreau, Emerson e Whitman; in conflitto (o in competizione?) con le erbe spontanee, che hanno proprio la caratteristica di riprodursi quanto più velocemente possibile, spesso soffocando quelle piantate dall’uomo.Valentina Boffi è forager e Guida Ambientale Escursionistica che organizza passeggiate botaniche e di riconoscimento di erbe selvatiche in Brianza. Se siete della zona e volete partecipare agli incontri che organizza o, semplicemente, se vi va di conoscere meglio il suo lavoro, la trovate qui.
Del rapporto tra esseri umani e natura ci parla Benedetta Gori, etnobotanica e conservazionista, in questo TED Talk. Gori sta approfondendo lo studio delle piante edibili selvatiche, esplorandone l’ecologia e il valore socio-culturale, in un dottorato di ricerca tra l'Università di Cagliari e i Royal Botanic Gardens, Kew di Londra.
Supernova è “un bookclub che parla di antropocene e prova a immaginare il futuro”. Si sviluppa su Telegram, ma si può seguire anche in presenza a Milano, ed è organizzato da Ferdinando Cotugno e Gaia Tarini.
Il libro del mese è “L’età del fuoco” di John Vaillant, che ho appena preso in biblioteca.
#UnAlboAllaSettimana
Semi, un piccolo grande viaggio di José Ramon Alonso, Aboca Kids
L’anno scorso e due anni fa ho avuto una rara fortuna, da insegnante precaria: quella di trovarmi in una scuola in cui si poteva sperimentare liberamente.
Siccome mettere le mani nella terra mi piace, e molto, ho deciso che il percorso di Alternativa alla Religione Cattolica che avrei proposto nella mia quarta sarebbe stato incentrato sulla biodiversità e che, nella pratica, avremmo costruito un orto didattico. Nonostante io ricordi con grande piacere quasi tutte le attività svolte con la mia ex VC, quella dell’orto - poi gestito con la collaborazione di tutta la classe e non più solo dai bambini di Alternativa, è stata proprio la mia preferita.
Così, mentre sogno di poter ritornare in una scuola del genere nei prossimi anni, vi consiglio il nostro punto di partenza: un albo illustrato intitolato Semi. Un piccolo grande viaggio. L’albo è pubblicato da Aboca Kids, lo spin-off di Aboca Edizioni dedicato ai piccoli lettori, e racconta in modo rigoroso e allo stesso tempo poetico il viaggio dei semi.
Nelle ultime pagine ci sono anche tre "schede” per sperimentare con i bambini con la germinazione in vaso, su carta o in idroponica.
È domenica 1 Marzo 2025 e ieri ho provato un gelato alla tisana di mele. Buonissimo.
Ciao Martina, con che gioia ti ho seguita in questa tua passeggiata! Mi hai regalato un bellissimo pezzettino di serendipità.