#4 piante rarissime, di cui non si è mai sentito parlare
di gentiluomini, ibridi floreali e parole intraducibili. Tutto miscelato.
Tra fine Seicento e inizio Settecento, e per almeno cinque o sei mesi l’anno, i giardini apparivano come lande desolate, verdi parterre famosi per l’arte topiaria, non certo per la varietà di fiori e arbusti.
Topiaria è un termine che deriva dal greco topia, un corda con cui anticamente si legavano le piante per costringerle a crescere in determinate forme; evolvendosi nel latino la parola topiarius iniziò a indicare i “modelli ideali” di giardino che, secondo i Romani, andavano imitati. Plinio il Vecchio, nella sua “Historia Naturalis” racconta la consuetudine, nelle case patrizie, di potare le siepi di bosso per fargli prendere la forma del nome del proprietario.
La sensibilità, nel frattempo, è piuttosto cambiata (anche se lo spirito della Lupa capitolina di piazza Venezia continua a infestare gli incubi degli amanti del giardino all’inglese) ma bisogna riconoscere che alla base dell’arte topiaria c’era, oltre che un gusto radicato nei secoli, una necessità. All’inizio del XVIII secolo la maggior parte dei vivai vendeva solo piante che fiorivano tra fine febbraio e i primi di ottobre e, soprattutto in Inghilterra, questo era un problema al punto che quando Guglielmo d’Orange e Maria II Stuart arrivarono dall’Olanda per rivendicare il trono britannico restarono così delusi dalla scarsità di fiori e piante nei vivai di Londra che furono costretti a importarli dai Paesi Bassi, dove i giardini erano ben più rigogliosi che in Gran Bretagna. Difatti, facendo di necessità virtù, la Compagnia Olandese delle Indie Orientali aveva promosso la fondazione di un giardino botanico a Città del Capo che funzionava un po’ come un centro di smistamento per gli esemplari provenienti dalle colonie, dove coltivare piante originarie da varie zone del mondo (soprattutto India e Sri Lanka) da importare e da distribuire, sotto forma di bulbi e sementi, nei Paesi Bassi. In Inghilterra, nonostante la vastità dell’impero e la possibilità - almeno in teoria, di rifornirsi di piante nelle colonie americane, la disponibilità di fiori importati era piuttosto limitata: il viaggio dal Nord America era lungo e spesso le casse contenenti alberi e cespugli venivano messe sul ponte delle navi, esposte al vento, all’acqua salmastra e ai cambi di temperatura. Merce poco sorvegliata, perché considerata di scarso valore, arrivava in Gran Bretagna con le foglie rosicchiate dai ratti e poteva capitare che i marinai attingessero dal rum in cui erano conservati alcuni rari esemplari per farsi una bevuta. Ma qualcosa di nuovo, in Inghilterra, stava per nascere.
Il primo di molti eventi a mettere in moto la catena del cambiamento che portò alla nascita della botanica moderna fu la scelta del vivaista Thomas Fairchild di passare un pomeriggio del 1716 nel suo capanno per la rinvasatura in compagnia di alcuni garofani. Fairchild aveva appena avuto un’intuizione che lo avrebbe reso preda dell’ansia negli anni successivi. Il “blasfemo esperimento” che gli tolse il sonno per molte notti fu semplice da eseguire: aiutandosi con una piuma cosparse di polline prelevato dallo stame di un Diantus barbatus, o garofano dei poeti, lo stigma di un garofano a piumino doppio, o Diantus caryophyllus. Quindi si richiuse la porta del capanno alle spalle.
Nei mesi successivi i semi, che sarebbero poi germogliati e fioriti la primavera dell’anno successivo, maturarono dando vita a una nuova specie: l’ibrido di Fairchild, ribattezzato caryophyllus x poetis in attesa che Linneo inventasse, qualche tempo dopo, la nomenclatura basata proprio sui caratteri sessuali delle piante.
Questo, naturalmente, contraddiceva tutte le leggi di Dio, che secondo la Bibbia aveva dato vita alle piante - a tutte le piante, nel terzo giorno della Creazione. Certo, gli ibridi già esistevano, ma venivano derubricati ad “accidente”. Fu proprio riferendosi a una serie di circostanze misteriose che Fairchild, che mai avrebbe ammesso di aver strofinato personalmente del polline di un fiore su un altro, presentò il suo ibrido alla Royal Society. Uno degli uomini che avevano assistito all’esposizione e che diventerà il primo professore di Botanica a Cambridge, Richard Bradley, scriverà sulla novità di Fairchild:
Qualsiasi individuo perspicace, forte di queste nuove conoscenze, potrà produrre varietà di piante rarissime, di cui non si è mai sentito parlare.

Nel frattempo, mercanti come Peter Collinson, giardinieri come Peter Miller e scienziati come Carl Linnaeus si preparavano, ciascuno con i propri mezzi, a far germogliare l’eredità di Thomas Fairchild. Insomma, che lo ammettesse o meno, il vivaista di Londra aveva inaugurato una nuova epoca: quella in cui i giardinieri avrebbero smesso di affidarsi ai fiori e agli arbusti messi a disposizione dal buon Dio nel terzo giorno per arricchire i giardini di nuove e coloratissime specie.
Questa epopea di scoperta, scienza e commercio viene raccontata da Andrea Wulf, storica del design, nel suo “La confraternita dei giardinieri. Come un gruppo di uomini uniti dalla passione per le piante rivoluzionò la botanica e i giardini d’Europa”.
Il saggio di Wulf mi ha conquistata fin dalle prime righe dell’introduzione:
Più di dieci anni fa, quando lasciai Amburgo, la mia città natale, pochi dei miei amici possedevano un giardino […] Sono molti in Germania a considerare il giardinaggio un’attività da pensionati. Io la pensavo senz’altro così. Per me significava coltivare qualche viola del pensiero in aiuole semideserte, sistemare piantine in una serie di file irregimentate, o potare ossessivamente la propria siepe armati di righello (una volta una vicina mandò un poliziotto a informare i miei genitori che i nostri arbusti riottosi erano troppo vicini al marciapiede di almeno dieci centimetri).
Perciò, quando mi trasferii a Londra a metà degli anni Novanta, mi sorpresi di trovare una nazione ossessionata dal giardinaggio.
Così partendo dall’indubbia soddisfazione, dopo aver studiato per l’esame di Pedagogia Generale II una serie di libri improntati alla più sfacciata ammirazione per il popolo tedesco scritti in maniera così incomprensibile da farmi andare di traverso la Germania tutta, di costatare la distanza siderale tra me e gente armata di righello per misurare le siepi, mi sono tuffata con gioia nel racconto del secolo che ha cambiato per sempre le sorti del giardinaggio e della botanica. Adesso che scrivo ho letto un centinaio di pagine e posso dire che questo inizio 2025 caratterizzato da una lentezza sfiancante è, se non altro, costellato di letture piacevoli: per ora ho seguito Jonathan Slaght nella sua ricerca sui gufi pescatori del Litorale, sono stata in Borgogna e a Parigi con un gruppo di suore, ho pianto come una vite tagliata in una sala da té infestata e sono tornata a Lossai a leggere le avventure di Prisca, Elisa e Rosalba (e poi di Diana e Lalage a Serrata e alla Serpentaria).
Miscele (cose da leggere, da fare o da ascoltare)
Se il pollice nero/la frenesia della vita moderna/la bolla del mercato immobiliare che vi obbligano a vivere al piano interrato di un condominio vi impediscono di coltivare la vostra passione per le piante, ma siete appassionati di giochi da tavolo, potete sempre vivere i fasti del giardinaggio nei panni di un aristocratico sfaccendato con Botanicus:
Hai acquistato terreni, assunto un abile giardiniere e ti sei dedicato alla ricerca delle piante più straordinarie. Come ben sai, gli ospiti sono estremamente esigenti riguardo le piante che desiderano ammirare, dunque il tuo compito va oltre il semplice atto di acquisire nuove specie: devi anche organizzare il giardino secondo le loro preferenze. In Botanicus, ti troverai a competere per ottenere i migliori spazi d’azione in un meccanismo di selezione unico, dopodiché dovrai sfruttare al meglio le opzioni disponibili. Il tuo obiettivo sarà raccogliere nuove piante, prendertene cura, annaffiarle e vigilare sul lavoro del giardiniere. Ma non dimenticare un aspetto cruciale: lungo il percorso dovrai anche raccogliere fondi, necessari per finanziare tutte le attività. Alla fine, il giudizio sarà affidato al numero di visitatori soddisfatti e alla bellezza del tuo giardino. Riuscirai a superare i giardini dei tuoi rivali?
Liber è una delle mie riviste preferite. Da insegnante credo che sia importante formarsi il più possibile sul mondo dei libri per bambini e ragazzi, non solo attraverso la lettura di saggi come quelli di cui ho parlato qui, ma aggiornandosi costantemente sulle nuove uscite: dopotutto, e per quanto amatissimi, non possiamo proporre per sempre e solo i libri che hanno popolato le nostre infanzie. Seriamente, c’è vita oltre Cipì.
Liber propone dei percorsi tematici come quello sul clima dell’ultimo numero, che va ad aggiungersi a “Piantiamola!” e “Soglie verdi” sul mondo vegetale. La copertina è di Elisabetta Mitrovic, che ammiro tantissimo per il suo lavoro di illustratrice ed educatrice.Sempre a proposito di educazione in natura c’è un associazione che seguo con grande interesse da quando ho frequentato il corso “Educazione all’aperto: prospettive e pratiche ecologiche” tenuto dalla professoressa Monica Guerra in Università Bicocca: si chiama “Bambini e natura” e proprio la settimana scorsa ha festeggiato il decennale dalla sua fondazione con un convegno a Milano. Se siete appassionati al tema vi consiglio di tenere d’occhio le attività che organizzano.
Giusmìn Tea Lab festeggia l’anno lunare del Serpente con un taste kit composto da sette piccole selezioni che compongono una vera e propria esplorazione tra tra i tè neri più rappresentativi di Cina, India, Nepal e Sri Lanka. Per accompagnare la degustazione e conoscere meglio tecniche di lavorazione e abbinamenti gastronomici c’è un ebook scaricabile gratuitamente dal sito.
Sempre a proposito di tè: Teaps organizza, a Genova e dintorni, dei teatime di ispirazione letteraria e non solo. È appena uscito il calendario degli incontri primaverili, che trovate qui.
Continua la pubblicazione degli albi in piccolo formato della Biblioteca Topipittori, questa volta in edicola arriva uno dei miei titoli preferiti: “La zuppa Lepron” di Giovanna Zoboli che avevo fatto vedere in questo video.
Su consiglio di Senza Rossetto progetto di Giulia Cuter e Giulia Perona “che racconta le donne (quelle di ieri, quelle di oggi e quelle di domani)
oltre ogni convenzione e stereotipo che la società attribuisce all’universo femminile” ho iniziato ad ascoltare GIANNI, il podcast di Caroline Baglioni per la neonata Baby Hurricane. È una storia che parla di salute mentale, legami e memorie familiari e stigma sociale. Cuter e Perona ne parlano così:Gianni è un uomo psicologicamente fragile, nato e vissuto in un piccolo paese della provincia di Perugia, noto a tutti per le sue stranezze - tra picchi di euforia e fasi depressive- ma nel profondo sconosciuto ai più, anche alla sua famiglia. Fino a quando, molti anni dopo la sua scomparsa, la nipote Caroline Baglioni non trova per caso tre audiocacassette registrate dallo zio negli anni Ottanta e il suo destino a quello di Gianni si intrecciano per sempre.
#UnAlboAllaSettimana
L’anno scorso, di questi tempi e su Thread, provavo a consigliare #unalboalgiorno tra quelli che di solito porto in classe. Inutile dire che quei ritmi non fanno per me, perché non sono durata neanche due mesi, ma credo che uno alla settimana sia più che sostenibile. Quindi, ecco il quarto, consigliatomi dalla mia collega Cristina C. la settimana scorsa:
Biofilia di Cathy Eliot, Storiedichi Edizioni
Ogni lingua ha le sue parole per descrivere l’istinto degli esseri umani di entrare in relazione con il mondo naturale, quella che viene chiamata biofilia. Cathy Eliot ne ha raccolte tredici “intraducibili” in italiano e le ha illustrate in un piccolo gioiello cartonato dalle pagine spesse. Sapevo, dal momento in cui Cristina me ne ha parlato, che sarei corsa in biblioteca a prenotarne una copia.
È domenica 2 febbraio 2025, l’inverno avanza, ma ieri ho salvato dei narcisi bianchi all’IKEA.
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